Può capitare, nel corso della vita, di avere la necessità di dover affittare un’immobile di cui si è proprietari e che non si usa come residenza principale.
Come sappiamo la ricerca dell’affittuario è spesso difficile, e succede spesso di imbattersi in inquilini non proprio esemplari che, per una serie di motivi, possono avere problemi nel pagamento delle mensilità o che si comportano in maniera poco corretta.
Quando ciò accade, uno dei modi che si hanno per rientrare in possesso del proprio immobile è procedere con lo sfratto.
Di seguito, vediamo quali sono i casi in cui lo sfratto potrebbe risultare più complicato del previsto e cosa fare per rientrare in possesso del proprio immobile.
Casi in cui non si può sfrattare l’inquilino
Esistono dei casi specifici in cui il procedimento di sfratto non può essere eseguito o comunque subire dei significativi rallentamenti.
Ecco quali sono i principali:
- contratto di locazione non registrato: come si può immaginare, non si può procedere con lo sfratto in mancanza di un contratto d’affitto regolarmente registrato in questo modo. L’unico modo per procedere è quello di intentare una causa all’inquilino per occupazione illegale, ma ciò comporta costi elevati e tempi spesso molto lunghi;
- presenza di minorenni: questa situazione non porta all’impossibilità dello sfratto, ma al suo rallentamento. Per procedere, infatti, è necessario che i genitori trovino un alloggio alternativo che spesso non hanno e della cui ricerca si occuperanno, quindi, gli assistenti sociali;
- inquilini con Legge 104: in questo caso, i tempi dello sfratto possono essere allungati di 120 giorni o 18 mesi a seconda che si tratti rispettivamente di sfratto per morosità o finita locazione.
Altri casi in cui i tempi per lo sfratto possono allungarsi, anche fino a 18 mesi, sono quelli in cui gli inquilini sono disabili, disoccupati (o cassaintegrati), over 65 o malati terminali.
Procedura di sfratto: come funziona
Indipendentemente dalla ragione che porta alla decisione di sfrattare un inquilino, l’iter da rispettare è sempre molto simile.
Vista la complessità della situazione, il consiglio è quello di rivolgersi a degli esperti. Per chi vive a Milano, ad esempio, consigliamo di visitare il sito avvocatisfrattimilano.it.
La prima operazione da fare, per quanto riguarda il proprietario, è l’invio all’affittuario di una lettera di diffida per invitarlo a saldare i debiti contratti o a lasciare definitivamente l’immobile.
L’obiettivo di questa diffida è di risolvere la situazione prima di intraprendere le vie legali.
Se l’invio della diffida non porta a nulla, il passo successivo è l’intervento del giudice.
In questa fase possono presentarsi diversi scenari. Ecco quali:
- il procedimento viene chiuso definitivamente se, nel frattempo, l’inquilino dimostra di aver saldato gli importi richiesti;
- il giudice conferma rende valido lo sfratto se l’inquilino non si presenta o se non si oppone al procedimento;
- il giudice fissa una nuova udienza se l’inquilino contesta lo sfratto, per valutare le motivazioni e decidere sulla convalida o meno del procedimento;
- a seguito della convalida dello sfratto per finita locazione, l’inquilino (se richiede una proroga) ha 6 mesi di tempo per lasciare l’immobile che possono arrivare anche a 18 nel caso di determinate situazioni di salute ed economiche.
Per quanto riguarda la data dello sfratto esecutivo, questo è spesso fissato all’incirca 60-90 giorni dopo l’udienza di convalida del procedimento.
Può succedere, però, che l’inquilino si rifiuti di lasciare l’immobile il giorno stabilito.
Quando ciò accade, gli viene inviato un atto di precetto con cui viene avvisato di avere ancora 10 giorni per riconsegnare l’immobile.
Se anche quest’ultimo limite viene superato, si procede allo sgombero forzato dell’immobile.